Appunti sulla 58ª Biennale di Venezia
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“Si fa con tutto”, titolo di una interessante riflessione sull’arte contemporanea di Angela Vettese, è proprio il primo pensiero che sorge di fronte a questi “quadri astratti” di accattivanti tinte naturali e in trasformazione, che si rivelano essere una originalissima creazione artistica, frutto delle più attuali ricerche scientifiche e tecnologiche. L’artista coreana Anicka Yi ha concepito un’opera mettendo in relazione programmi di intelligenza artificiale, volti a conferire un apparato sensoriale alle macchine, e gli odori emessi da alghe e batteri, al fine di attivare il controllo e la regolazione della proliferazione degli organismi viventi. La ricerca sperimentale, il cui esito in prima istanza è orientato a finalità estetiche, suggerisce interessanti riflessioni sui possibili scenari “post human” che ci attendono.
Orkhan Mammadov, giovane artista azero, a partire da alcuni patterns geometrici caratteristici dell’ornamentazione islamica, progetta una videoinstallazione, sfruttando le potenzialità di algoritmi propri all’intelligenza artificiale; si generano, così, un’infinita moltiplicazione di nuovi modelli decorativi, che si disegnano con la luce, in continua trasformazione, su di una fascia circolare all’interno di uno spazio completamente buio. L’effetto è sorprendente e estremamente gradevole.
Dello stesso artista multimediale, nel Padiglione azero è presentata “Muraqqa”, videoinstallazione costruita utilizzando approcci tecnologici/matematici; le immagini in questo secondo lavoro sono tratte dalle miniature islamiche raccolte in un antico libro, Muraqqa, risalente alla dinastia Safavida inizialmente insediatasi in Azerbaijan, poi diffusasi in tutta la Persia, dal XVI al XVIII secolo. L’intervento di animazione delle miniature è volto a proporre riflessioni sul ruolo delle fake news veicolate dalle immagini, creando una proiezione che rapisce il nostro sguardo per forme, colori e racconti sorprendenti. Orkhan Mammadov sperimenta quanto possa essere ingannevole un’immagine che colpisce per l’efficacia della sua restituzione, impedendo alla nostra riflessione critica di esserne consapevoli. Il racconto narrato con le miniature che dovrebbero farsi documento della storia e cultura dell’epoca safavida, viene distorto con interventi di animazione che ne alterano la veridicità storica.
Il fantastico mondo biologico delle forme naturali nelle barriere coralline, in pericolo di sopravvivenza, diventa oggetto di studio e creazione artistica delle gemelle Wertheim, fisica, l’una, poetessa e critica letteraria, l’altra. La ricreazione di apparenti frammenti di spazi corallini (l’intreccio di fili con l’uncinetto è protagonista, tra diversi materiali di scarto e cavi elettroluminescenti), disposti nelle ampie vetrine dell’Arsenale, documenta un progetto che coinvolge più discipline. Tra queste, la geometria e la matematica, e le relazioni tra forme biologiche e modelli di spazio iperpolico, come si evince dai disegni sulla lavagna visibili nella foto dell’installazione, studio che sta alla base dell’opera. Le artiste utilizzano la potenzialità del “fare” artistico e della ricerca della “bellezza” come strumenti di denuncia delle imminenti e catastrofiche trasformazioni ambientali ed ecologiche.
Ian Cheng ha sfruttato le potenzialità dell’intelligenza artificiale per programmare, all’interno di un ambiente vivente, una creatura “fantastica”, Bob, la cui vita/evoluzione viene determinata dagli spettatori che decidono, tramite un’app, di dialogare con lui, facendolo evolvere. L’opera d’arte, che qui documento con la foto di parte dei fumetti esposti all’Arsenale sul racconto della genesi dell’intervento artistico e un’immagine dello schermo che attiva il dialogo con i visitatori, appare un’esperienza molto complessa da comprendere, sicuramente da me, non invece da molti visitatori giovani della mostra, che, attivata la app, contribuivano a creare l’opera stessa, in un dialogo giocoso e coinvolgente con la creatura virtuale.
Hito Steyerl, artista tedesca, presenta all’Arsenale l’installazione ‘This is the future’, un ambiente costruito con passerelle (simili a quelle veneziane per l’acqua alta) abitate da schermi digitali di diverse dimensioni sui quali si generano in continua trasformazione colorate e sensuali immagini di fiori e natura. Al centro del percorso il visitatore può sostare su alcune panche e ascoltare, di fronte ad un grande schermo sul quale fluttuano belle immagini che evocano una natura potente e rigogliosa, una voce che riflette sul presente e sul futuro, intrecciando valutazioni critiche sull’uso e i pericoli dell’intelligenza artificiale, ma, nello stesso tempo, sfruttandone le potenzialità comunicative.
Orkhan Mammadov (Ganja, 1990) – Circular repetition, 2019 -videoinstallazione del Padigiione dell’Azerbaigian