La Biennale di Venezia 2019 è intitolata May You Live In Interesting Times, un’espressione della lingua inglese a lungo erroneamente attribuita a un’antica maledizione cinese che evoca periodi d’incertezza, crisi e disordini ; “tempi interessanti” appunto, come quelli che stiamo vivendo. Il tema è composito e sfaccettato, racchiudendo aspetti politici, economici, sociali e artistici in tempi in cui troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione, generato dal conformismo o dalla paura. L’approccio generale dell’intera esposizione internazionale è l’interrogarsi sul fare arte e sulla funzione sociale dell’arte, che includa sia il piacere sia il pensiero critico.
A Palazzo Lezze, in Campo Santo Stefano, dal 11 maggio al 24 novembre 2019 il Padiglione dell’Azerbaijan presenta la mostra Virtual Reality, un allestimento che comprende sei opere ideate da cinque giovanissimi artisti azeri. Il titolo Virtual Reality è di per sé provocatorio poiché nell’esposizione manca la presenza di un’effettiva realtà virtuale come si aspettano in molti ; questa caratteristica introduce subito il tema centrale : il fenomeno della fake news. Fake news e libertà di pensiero, comunicazione come fondamento della vita sociale, evidenziano come vi sia un cambiamento radicale nel modo in cui oggi percepiamo i dati e le notizie.
La politica si conduce via twitter, i rapporti via Instagram e le opinioni via Facebook ; le informazioni, diffondendosi attraverso il web più che tramite fonti ufficiali, hanno un’estensione e una rapidità di trasmissione che azzera la differenza tra verità e invenzione, fra realtà e sogno, e annulla l’esigenza d’indagare a riguardo. La comunicazione di massa, totalizzante e persuasiva con versioni amputate dei fatti, rende sempre più difficile l’autonomia cognitiva, il filtraggio e il controllo degli input esterni, riducendo la capacità del libero pensiero.
Le opere rendono immediatamente chiaro il messaggio : un’arte che urla e grida presentando gli esseri umani ormai come automi grigi, che non si guardano negli occhi e non interagiscono più attraverso empatia e sentimenti, ma attraverso i filtri dei “social”. Gli artisti presentano progetti, installazioni e sculture multimediali all’interno del palazzo storico, che con i suoi androni e le sue vetrate riesce a trasportare il visitatore in una dimensione a se stante.
Appena entrati ci si trova immersi nella penombra con l’installazione “Bubble Reflection” di Zarnishan Yusif, luminescente e dai suoni caotici : le figure antropomorfe sono perfettamente allineate e presentano circuiti telematici al loro interno, come parte dell’organismo. Rappresentano un’umanità ipnotizzata, con teste vuote che accolgono passivamente una realtà virtuale e da cui si originano le bolle di notizie fake. Saliti al piano superiore l’installazione “Slinky effect” di Ulviyya Aliyeva pervade l’intera area: personaggi senza un volto e senza espressione immersi nell’agorà elettronica, dove l’uso dei mezzi di comunicazione di massa è sempre più spregiudicato, dove chi non è connesso vive in una sorta di apartheid. Le successive opere si dislocano in stanze laterali, buie, che vengono illuminate solo dalla luce mutevole e colorata dei video delle installazioni, dove si confondono i confini tra spazio fisico e digitale, come in “Murraqa” di Orkhan Mammadov. L’esposizione trasmette allo spettatore il messaggio in maniera chiara e immediata, non vi sono opere di ambigua interpretazione o che lasciano interrogativi sul loro significato. Si esce dal Padiglione con una sensazione di consapevolezza maggiore su quello che ci circonda.
*Martina Manduca : nata a Conegliano e residente a Venezia, ha studiato Archeologia medievale all’Università di Padova e all’Università di Cordoba in Spagna. Appassionata di arte, letteratura e cucina, attualmente lavora presso la Biennale di Venezia.